Raffaella Bona e Diego Dominici condividono numerosi punti in comune, pur affrontando tematiche diverse. Entrambi esplorano la complessità della condizione umana, ponendo al centro delle loro opere una riflessione critica sulle norme sociali, sugli stereotipi e sulle dinamiche di potere che influenzano l’identità e la sessualità. Utilizzano le loro opere come strumento di critica verso le convenzioni e i ruoli sociali imposti. Bona affronta la condizione femminile e la mascolinità con ironia e provocazione, attraverso il simbolo del pene, mentre Dominici esplora la devianza e la normalità attraverso il concetto di parafilia. Entrambi denunciano i limiti delle strutture sociali tradizionali che reprimono la libertà personale e sessuale.
Vengono usati simboli chiave per veicolare messaggi profondi. Bona usa la rappresentazione del pene come simbolo di potere maschile per denunciare la subordinazione femminile, trasformando la violenza in un’ironia liberatoria. Dominici utilizza la maschera per rappresentare la dualità tra l’apparenza esterna e la realtà interiore, esplorando la frammentazione dell’individuo e la repressione dei desideri più intimi.
Un tema centrale nei due progetti è la ricerca della libertà individuale e collettiva. Bona invita a superare i ruoli di genere tradizionali per una società più equa e priva di violenza di genere, mentre Dominici propone una visione di accettazione della diversità sessuale e delle complessità umane, andando oltre il concetto di devianza. In entrambi i casi, l’obiettivo è liberare gli individui dagli stereotipi e dalle costrizioni sociali.
Opere che non temono di essere provocatorie. Bona utilizza immagini forti come il pene impiccato o ghigliottinato per evidenziare l’oppressione femminile, mentre Dominici si avventura in territori tabù, come la parafilia, per stimolare una riflessione sulle norme sessuali e sociali. Si sfida il pubblico a riflettere sulle convenzioni e a considerare prospettive alternative.
Nonostante le diversità dei temi, entrambi i progetti promuovono un messaggio di uguaglianza. Bona cerca una parità autentica tra i generi, dove le donne non siano più relegate a ruoli marginali, mentre Dominici, attraverso l’uso della maschera come simbolo universale, suggerisce che tutti condividiamo fragilità e desideri comuni, eliminando le barriere tra normalità e devianza.
Infine, entrambi gli artisti cercano di abbattere gli stereotipi e di proporre nuovi modelli di identità. Bona immagina un futuro in cui gli uomini siano finalmente liberi da ruoli di potere imposti e dalle gabbie del maschilismo, mentre Dominici propone una visione in cui le identità sessuali siano fluide e accettate nella loro complessità, libere dai giudizi morali.
In sintesi, sia Raffaella Bona che Diego Dominici utilizzano l’arte per indagare e sfidare le strutture di potere e controllo che governano le dinamiche di genere e sessualità, proponendo una visione più inclusiva, libera e consapevole dell’identità umana.
Raffaella Bona
Raffaella Bona, torinese, architetto e talentuosa ceramista, affronta nella sua collezione Penelope il tema della condizione femminile, intrecciando una visione duale che ruota attorno alla rappresentazione del pene, simbolo della mascolinità. Il titolo, Le Pene Capitali, gioca con le parole, invitando lo spettatore a cogliere l’ironia e la leggerezza che permeano l’opera, in netto contrasto con la sofferenza femminile legata a un ruolo sociale ancora marginale rispetto alla libertà e al potere.
Attraverso immagini potenti come il pene impiccato, ghigliottinato o impalato, l’artista stabilisce un’analogia con la condizione della donna, vittima di numerose sofferenze. Bona denuncia questa realtà e invita l’uomo a una riflessione e a un’assunzione di responsabilità verso una parità autentica. Le sue sculture non vogliono realmente punire, ma esorcizzare, trasformando gli oggetti in feticci simbolici. Con ironia e giocosità, l’opera ammicca al mondo maschile, convertendo la violenza in una metafora leggera ma incisiva.
Il linguaggio forte e provocatorio diventa strumento di comunicazione di un messaggio di liberazione e compassione, invitando a sconfiggere i “mostri” interiori e a immaginare nuovi modelli maschili. L’opera propone una visione di un futuro privo di violenza, stupri e discriminazioni di genere, in cui anche gli uomini si liberano finalmente dai ruoli imposti e dagli stereotipi.
In sintesi, la collezione unisce critica sociale, ironia e un forte messaggio di emancipazione e parità di genere.
Diego Dominici
Il progetto *Parafilia* dell’artista Diego Dominici esplora in profondità la complessità della condizione umana attraverso una lente provocatoria e riflessiva, concentrandosi sui comportamenti che la società considera devianti o patologici, in particolare legati alla sessualità. Il termine “parafilia”, che deriva dal greco “para” (oltre) e “filia” (amore), diventa un punto di partenza per affrontare la tensione tra desideri intimi e normatività sociale.
Attraverso le sue opere, Dominici cerca di rappresentare le dinamiche nascoste della psiche umana, mettendo in luce quei desideri e impulsi che spesso vengono repressi o stigmatizzati dalla società. Le parafilie, considerate generalmente come espressioni di devianza, vengono invece qui esplorate come riflesso della complessità e della pluralità dell’esperienza umana, offrendoci una prospettiva alternativa e più inclusiva sulla sessualità e le sue molteplici sfaccettature.
Uno dei simboli centrali del progetto è la maschera, che Dominici utilizza come metafora della dualità tra l’apparenza esteriore e la realtà interiore. La maschera diventa un veicolo attraverso cui l’artista rappresenta le emozioni e gli impulsi nascosti, che spesso devono essere celati a causa di convenzioni sociali o della paura del giudizio. Questo crea una potente dicotomia tra l’immagine pubblica e la dimensione privata dell’individuo, evidenziando la frammentazione dell’essere umano, costretto a dividersi tra il sé che mostra agli altri e il sé autentico.
Il progetto, tuttavia, non si limita a questa rappresentazione individuale. Dominici usa le stesse maschere per rappresentare ogni individuo, creando così un senso di uniformità e uguaglianza. Questo gesto simboleggia l’idea che, nonostante le nostre differenze personali, esistono esperienze, desideri e lotte comuni che ci accomunano tutti. Sotto la superficie delle apparenze, l’artista sembra volerci dire, siamo tutti uniti da una rete condivisa di vulnerabilità, desideri e fragilità.
La maschera, che tradizionalmente viene percepita come un dispositivo per nascondere, si trasforma così in uno strumento di espressione e autoesplorazione. Essa permette agli individui di indagare quelle parti di sé che spesso vengono ignorate o rifiutate, creando un dialogo più autentico con se stessi e con il mondo esterno. Questo atto di abbracciare le proprie ombre diventa una forma di liberazione, offrendo un nuovo modo di vivere la propria identità senza le catene degli stereotipi o del controllo sociale.
In questo senso, *Parafilia* non è solo una riflessione sulla sessualità, ma un’analisi più ampia delle strutture di potere che governano la nostra identità e il modo in cui ci relazioniamo con gli altri. Dominici suggerisce che solo quando accettiamo la complessità e la molteplicità delle nostre esperienze possiamo abbattere le barriere tra l’individuo e la collettività, tra il visibile e l’invisibile, tra il controllo sociale e la libertà personale.
Il progetto, in definitiva, offre una potente critica sociale e culturale, sfidando le nozioni convenzionali di normalità e devianza, e proponendo una visione inclusiva e aperta della sessualità e della natura umana. L’opera di Diego Dominici invita il pubblico a riflettere sul valore della diversità e a riconoscere che l’autentica libertà nasce dall’accettazione della complessità che ci caratterizza come esseri umani.
A cura di Enrica Benedetto